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Among the many sources used by Boccaccio in his scholarly work Genealogia deorum gentilium, there are also the Homeric poems, made available to the author thanks to Leonzio Pilato’s Latin translation. What is interesting is that besides the Latin text of Iliad and Odyssey, he makes use also of Leonzio’s glosses written in the margins of his autograph manuscripts. In the wake of Agostino Pertusi’s pioneering study, this paper traces a link between Leonzio’s glosses on the Odyssey (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. IX 29) and many passages of the Genealogia where Leonzio is quoted as a source. The analysis is structured in three parts, i.e. the quotation of Boccaccio’s passage, the text of the source and a detailed commentary on its use.
It is available online at https://doi.org/10.36253/978-88-5518-510-3.04
«Leontius dicit»: l’utilizzo delle glosse a Omero
nella Genealogia di Boccaccio
Chiara Ceccarelli
Dall’estate del 1360 a quella del 1362 Leonzio Pilato, maestro di greco originario della Tessaglia, risiedette a Firenze ospite di Boccaccio e, per interessamento dello stesso, tenne per due anni accademici un corso di greco allo Studium fiorentino 1. In questa occasione lavorò alla traduzione di alcuni importanti testi della letteratura greca, in particolare l’
Le traduzioni leontee furono utili a Boccaccio nella stesura di molte voci della Genealogia e, in misura minore, del De montibus. Egli inserì nell’opera genealogica più di quaranta citazioni in lingua greca in alfabeto minuscolo (con annessa traduzione latina di Leonzio); utilizzò le informazioni provenienti da Omero, menzionandolo come fonte, quasi centosessanta volte; si avvalse spesso dei pareri di Leonzio per le etimologie greche delle parole. Nella Genealogia Boccaccio è molto scrupoloso nell’indicare la fonte da cui deriva le informazioni: nel caso dei poemi omerici egli tiene a separare ciò che è tratto da Omero da ciò che proviene da Leonzio; di solito utilizza informazioni fornite da Leonzio quando quelle presenti nel testo omerico non soddisfano del tutto le sue necessità. Sicuramente il Certaldese avrà fatto tesoro degli insegnamenti orali del maestro durante le lezioni allo Studium fiorentino e soprattutto delle conversazioni nel contesto domestico, dal momento che Leonzio era ospite a casa sua. Tuttavia, analizzando i marginalia dell’Odissea marciana ci si rende conto di quanto egli abbia attinto alle glosse apposte da Leonzio nel margine del manoscritto 6. Il Tessalo, infatti, corredò i margini di note di tipo etimologico, mitologico e linguistico oppure di fedeli traduzioni degli
Già Pertusi nel suo fondamentale Leonzio Pilato fra Petrarca e Boccaccio segnalava la presenza di queste glosse leontee e ne forniva la fonte scoliastica sottesa, offrendo il parallelo nell’opera boccacciana 8. Tuttavia, complice il passare degli anni, alcuni punti del suo lavoro andrebbero rivisti e aggiornati. Innanzitutto, Pertusi si serve della vecchia edizione della
Scopo del mio contributo, dunque, è aggiornare lo studio di Pertusi, aggiungendo alcuni nuovi materiali e rovesciando la prospettiva di quest’ultimo: il focus non sarà sulle glosse di Leonzio, bensì sull’utilizzo che Boccaccio fa delle note marginali leontee. Dopo un censimento di tutte le occorrenze della Genealogia in cui il maestro tessalo è addotto come fonte, si analizzeranno i casi in cui queste trovano riscontro in una nota posta in margine all’Odissea marciana 11; un commento puntuale renderà conto delle incongruenze o dei casi in cui il contenuto della nota non giustifica completamente il testo boccacciano. Non mi occuperò invece delle riprese tacite, ovvero dei casi in cui le glosse di Leonzio potrebbero essere state utilizzate senza esplicita dichiarazione, studio che richiederebbe un’analisi molto più approfondita. Per il testo del poema omerico e delle glosse leontee si fa riferimento alla recente edizione dell’opera contenuta nel manoscritto marciano a cura di Valeria Mangraviti, di cui si adottano anche i criteri di edizione
Prima di addentrarmi nell’analisi minuta, ritengo utile riportare in nota un elenco delle occorrenze della Genealogia in cui Leonzio è citato come fonte delle informazioni, dal momento che ho riscontrato non pochi errori negli indici dell’edizione mondadoriana 14. A queste si aggiungano
1. Gen. II 31, 1; 2 De Merane
Meran, dicit Leontius, filia fuit Preti et Anthie filie Anphianaste, que cum venationibus dedita Dianam per nemora sequeretur, a Iove visa atque dilecta est, et ab eo, Diane sumpta ymagine, viciata. Que tandem cum ob pudorem patrati sceleris, et timens ne iterum deciperetur, vocanti eam Diane obsequi noluit, et ob id Diana commota illam sagittis occidit (II 31, 1) 15.
Ad Od. XI 324 (c. 145r, ed. p. 414) Meran: Filia fuit Pricti et Antie, filie Amphianacti m. s. Hec fuit filia Pricti quam Iuppiter viciavit cum in venatu cum Diana invenit; postea ipsa Diana arcu interfecit quia non ad ipsam ve<n>iebat m. d.
Qua fictione dicit idem Leontius monemur ypocritas sepe credulos dolis in eam, quam dissuadent, deduxisse perniciem, a qua, dum verax homo aliquando lapsos relevare conatur, decepti semel et omnia timentes, increduli facti, oblatam respuentes salutem, in mortem perpetuam dilabuntur (II 31, 2).
Nel definire la parentela e i fatti legati alla figura di Merane, giovane seguace di Diana, il testo boccacciano è molto fedele alla nota leontea, tranne per il dettaglio per cui Giove assume le fattezze di Diana nel violare la fanciulla, che non compare altrove. L’interpretazione allegorica sottesa al mito non ha riscontro in altre note dell’Odissea e potrebbe quindi derivare da una spiegazione orale di Leonzio. Si notino, infine, le differenti grafie adottate dal Certaldese nell’onomastica dei personaggi 16: il ‘Pricti’ della nota leontea diventa ‘Preti’ e l’‘Amphianacti’ ‘Anphianaste’.
2. Gen. II 36, 1 De Amphione
Amphion, alter ab illo qui Thebas clausit muro, filius fuit Iasii et regnavit, ut dicit Leontius, in Orcomeno Minyo et in Pylo, vocatus alias Argus, cui unica fuit filia nomine Cloris 17.
Ad Od. XI 279; 281 (c. 144r, ed. p. 410) 279 Chlorin: <H>ec fuit filia <Am>phionis et Persephones m. s. Nelius, filius Neptunni, expulsus a Pelio fratre et maxime ab uxore fratris, venit ad Messinam, civitatem Peloponisi, et ibi Pylon edificavit et ducit Clorin, filiam Amphionis, Iasi filii; reliqua historia est in Pherecide m. d. 281 Amphionis: iste alius Amphion erat, ‘Argius’ dictus m. d.
Il testo boccacciano si basa sia per la discendenza che per l’appellativo di Anfione sulle due glosse leontee; l’informazione secondo cui quest’ultimo regni in Orcomeno, Minio e Pilo è ricavata direttamente dal testo omerico (Od. XI 282-283).
3. Gen. V 24, 1; 4 De Tytio
Quem [Tytium] dicit Leontius filium fuisse Iovis ex Hellare Orcomeni filia, quam pregnantem Iuppiter, iram Iunonis timens, occultavit in terram, ex quo factum est, ut nascens puer ex terra natus videretur, ut Servius asserebat (V 24, 1) 18.
Ad Od. VII 324-325 (c. 91v, ed. p. 262) Flavum ~ filium: Iuppiter concubuit cum Helaro, filia Orchomeni, secundum aliquos Myniu, et ipsa existente gravida Iuppiter ipsam ob iram Iunonis in terra occultavit; terra autem produxit puerum dictum Titium et, cum ad etatis mensuram pervenerat, arsit Latonam et sagittatus fuit ab Apolline […] m. sup.
Ad Od. XI 573; 577 (c. 151r-v, ed. p. 432) 573 Tityon: Iste interpellavit Latonam de concubitu, ideo penas patitur m. inf. 577 Iste Tytion vel Tycion interpellavit Latonam de strupo, unde et cetera m. sup.
Recitat ex isto Tytio Leontius brevem hystoriam, et dicit hunc apud Boetios magnum fuisse hominem, et viribus temptasse ex Delpho Apollinem eicere, a quo ipse eiectus est, et fere ad privatam vitam redactus (V 24, 4).
La discendenza e la nascita del gigante Tizio sono riprese fedelmente dalla glossa leontea a Od. VII 324-325. Il suo amore per Latona e la triste sorte che sono esposte poco dopo nel testo boccacciano (Gen. V 24, 2) sono frutto della combinazione di due fonti: da una parte le note di Leonzio (in particolare, nella frase «Is tamen, cum ad integram venisset etatem, Latonam Apollinis matrem amavit, eamque de stupro interpellavit») e dall’altra Servio, In Aen. VI 595 19. La
4. Gen. V 33, 1-2 De Ytilo et Thyi
Ytilus et Thyis, ut testatur Homerus in «Odyssea», filii fuerunt Zethi regis ex Aydona coniuge. Ytilum autem per errorem nocte Aydona mater interfecit, putans eum Amalea, Amphionis filium; invidebat quidem uxori Amphionis, eo quod sibi sex essent filii masculi. Que, ut ait Leontius, crimen suum cognoscens, optavit mori; miseratione tamen deorum in carduelem versa Ytilum deflet. De Thyi autem nudum superest nomen 20.
Ad Od. XIX 516-521 (c. 257r, ed. p. 732) Pandarea ~ regis: […] Duxit autem in uxorem Zethus Aidona, Pandarei filiam; ex istis natus est Itylus et Tiis. Ytilum mater Aidona interficit in nocte credens Amalea esse, Amphionis filium: invideba[n]t enim uxori Amphionis eo quod illi erant sex filii, isti autem duo. Movit autem Iuppiter contra ipsam ulcionem, hec autem oravit ut avis fieret, itaque Iuppiter misertus mutavit eam in carduelem, idest ‘aidonam’ in nomen eius: hec autem semper flet Ytilum filium eius m. d.
Anche in questo caso il testo boccacciano è molto aderente alla glossa leontea, tranne che per un dettaglio: Giove muta Aedon in carduelem secondo Leonzio perché ella lo aveva pregato di trasformarla in uccello, secondo il Certaldese, con accento più patetico, perché desiderava morire. Boccaccio, inoltre, non fa alcun riferimento all’etimologia greca del nome della donna. Per comprendere meglio il passo della Genealogia sono necessarie alcune considerazioni. Boccaccio afferma di aver ricavato l’informazione circa l’identità dei genitori di Itilo e Tio dall’Odissea, ma nei versi a cui fa riferimento (Od. XIX 518-523) Tio non compare in alcun modo: è chiaro che la notizia proviene invece dalla glossa leontea. Questo spiega forse anche la frase conclusiva del capitolo, secondo cui di Tio non resta che il nome: Boccaccio non trova altre tracce del personaggio né nel testo omerico, né in altre glosse leontee. In secondo luogo, si incontra qui un errore di traduzione di Leonzio, che confluisce poi nel testo della Genealogia. Probabilmente il Tessalo non conosce o non ricorda il termine corretto (luscinia o anche luscinius) per tradurre il sostantivo greco ἀηδών (‘usignolo’) e utilizza allora carduelis (‘cardellino’), simile al primo nell’aspetto – in quanto volatili di piccola taglia – ma certamente non nella simbologia di uccello dal canto simile a un lamento notturno.
5. Gen. V 44, 1-2 De Penelope
Dicit tamen Leontius Lycophronem grecum poetam dicere, Penelopem concubitum omnium procantium passam, et ex uno eorum genuisse quendam filium, cui Pana nomen fuit. Quod cum in reditu cognovisset Ulixes, statim abiit ad insulam Gortinam, et ibidem habitavit. Quod absit, ut credam pudicitiam Penelopis, a tot tamque egregiis celebratam autoribus, ab aliquo fuisse maculatam, quicquid Lycophron loquatur maliloquus 21.
Ad Od. XII 41-44 (c. 154r, ed. p. 440): Lycofron, ἡ δὲ βασσάρα et cetera: ponit iste quod Penelope, omnium procatorum passa concubitum, quod est credibile, genuit quendam Pana dictum; idem ponit Ulixem mortuum in patria et percussum a filio cum spina marini piscis m. d.
Ad Od. XII 52-54 (c. 154r, ed. p. 441): Lycofron ponit quod Ulixes venit ad patriam et scivit que Penelope fecerat, recessit et ivit ad insulam Gortynam et ibi habitavit m. d.
Dopo aver esposto i natali e la storia ‘vulgata’ di Penelope, costretta a sopportare le angherie dei Proci e il dolore per la lontananza del marito, Boccaccio aggiunge anche un’altra versione dei fatti, riportando le parole di Leonzio che a loro volta derivano dal commento di Tzetze all’Alexandra di Licofrone 22. L’utilizzo della glossa leontea è ancora una volta molto fedele. Tuttavia, dopo aver esposto questo secondo punto di vista, Boccaccio prende le distanze dalla versione di Licofrone, definendolo addirittura
6. Gen. VII 3, 1-2 De Persa
Persa filia fuit Occeani, ut in «Odyssea» placet Homero, ubi dicit eam a Sole dilectam, eumque ex eius concubitu Oetam Colcorum regem atque Circem suscepisse, aiens: «Ἀυτοκασϊγνήτὴ ὁλοοφρονος Αἰήταο / Ἂμφω δ’ἐκτεγάτην φαεσιμβρὸτοι Ἠελίοιο / Μητρὸς τ’επέροης, τὴν Ὠκεανὸς τὲκε πᾶιδα» («Soror sagacis Oete. Ambo autem orti fuerunt a lucente mortalibus Sole, matreque a Persa quam Occeanus genuit filiam»). Hanc autem Persam dicit Leontius ab Exiodo Hecathen appellatam; que cum apud nos luna sonet, satis possumus arbitrari Oetam, apud suos clarissimum regem, illud idem fecisse, quod Saturnus egerat, qui Uranium patrem Celum nuncupari iussit, et Vestam matrem Terram, ut nominibus egregiis originem ampliaret suam, sic et Oeta patrem Solem et matrem Lunam. Que ideo Occeani filia dicta est, quod a litoralibus ex Occeani fluctibus oriri videatur. Seu forsan ipsa Persa ab Occeano patri Oete venerat, et ideo Occeani filia dicta, vel imperium habuit penes Occeanum 24.
Ad Od. X 137-139 (c. 125v, ed. p. 359) 137 Eetao: Regis Colchorum interl. sottolin. Medee patris; Eoeta frater fuit Circes m. d. 137-139 Persis filia fuit Oceani, uxor Solis; Pe<r>sis et Solis Oeta et Circes fuerunt fratres; Hesiodus autem et ‘Hecatem’ Persida dixit m. sup.
Nonostante Boccaccio inserisca una citazione in lingua greca tratta direttamente dall’Odissea, includendo anche un errore di trascrizione al v. 139 25, la formula introduttiva con cui apre il capitolo sulla ninfa Persa ricalca le due glosse leontee sia per quanto riguarda le parentele fra i personaggi, sia per l’apposizione di Eeta,
7. Gen. VII 6, 2 De Clymene
Leontius autem eam dicit filiam fuisse Minyi et Eurianasse, et ex Merope viro peperisse Yphiclum et Phylacem et Phetontem cum sororibus 27.
Ad Od. XI 324 (c. 145r, ed. p. 414) Climenem: Hec fuit mater Phetontis interl. sottolin. Hec fuit filia Mynii et Eurianassis que[m] Iphiclum fecit cum Phylaco velocem m. d.
Dopo aver riportato le versioni contrastanti di Teodonzio e Paolo da Perugia riguardo la stirpe della ninfa Climene, Boccaccio allega anche quella di Leonzio, ancora diversa, traendola dalla glossa marginale leontea 28. Quest’ultima non giustifica però completamente il testo boccacciano, non facendo alcuna menzione del marito Merope e delle altre figlie femmine («cum sororibus»): il Certaldese integra la glossa con altri materiali forse provenienti da Leonzio e a noi non pervenuti, forse derivanti da Ovidio,
8. Gen. VII 18, 4 De Arethusa
Altera vero Arethusa in Ytachia insula fons est, de qua sic dicit Homerus: «Πὰρ Κὸρακος πέτρη επὶ τε κρηνη Ἀρεθούση» («penes Choraci petram ac fontem Arethusam»). Leontius vero ex hac Arethusa refert quendam fuisse in Ytachia venatorem, cui Corax nomen, qui furore inpulsus ex petra quadam precipitem sese dedit in mare, et ob id petra illa ab eo Corax denominata est. Mater autem eius, cui Arethusa nomen, hoc videns dolore percita in vicinum petre fontem se proiciens enecta est, et sic de se nomen fonti dedit, et sic duo sunt fontes Arethusa vocati 29.
Ad Od. XIII 406 (c. 174r, ed. p. 502) Choraci ~ Arethusam: Quidam homo fuit venator, Chorax dictus, qui de petra illa precipitavit se, a quo petra nomen accepit; mater autem eius in fonte illo sumersa fuit, Arethusa dicta, unde fons ab illa m. inf.
Dopo la descrizione del mito della ‘prima’ Aretusa, la fanciulla trasformata in fiume per sfuggire alla brama di Alfeo, Boccaccio tratta invece della altera Arethusa, fonte dell’isola di Itaca, allegando anche una citazione in lingua greca (Od. XIII 406). Ricava invece dalla glossa leontea l’eziologia del nome della fonte, attraverso il mito del cacciatore Corax e di sua madre Aretusa proveniente dagli scholia omerici 30. La stessa spiegazione del mito viene riportata quasi invariata anche nella voce relativa alla seconda Aretusa presente in
9. Gen. VII 20, 1; 6-7 De Syrenis
Syrenas tres fuisse Servius et Fulgentius asserunt, et Acheloi atque Caliopis muse filias, cantantesque dicunt alteram voce, alteram cythara, et tibiis tertiam. Leontius vero illas dicit fuisse quattuor sic nuncupatas: Aglaosi, Telciepi, Pisinoi et Iligi; easque filias Acheloi et Thersicoris muse, quartam timpano canere superaddens (VII 20, 1) 31.
Ad Od. XII 39 (c. 153v, ed. p. 439) Serenas: Syrene monstra marina habentes genua arpyarum, speciem avis, pennas ab umbilico et, supra, caput optime virginis; muse autem interfecerunt eas, et cetera m. sup. Syrene filie fuerunt Acheloi fluvii et Terpsichore, unius muse, et, cum dilexerant virginitatem, in odio fuerunt Veneris et pennas habentes volaverunt ad tyrrenicum clima et insulam ceperunt Anthemusam nominatam; nomina autem ipsarum Aglaofimi, Thelciepia, Pisinoi, Iligia m. inf.
Et Leontius asserit vetustissima haberi fama apud Etolos prima Grecorum fuisse meretricia, et tantum lenocinio facundie valuisse, ut fere omnem Achaiam in suam vertissent predam; et ex hoc arbitrari fabule originis Syrenarum locum fuisse concessum. Et sic illis Etolie fluvius pater est dictus, eo quod eum penes primo sua scelesta cepere servitia; et ut intelligamus per labentem fluvium patrem, lascivam et effluentem concupiscentiam meretricum. […] (VII 20, 6-7).
Come di consueto, Boccaccio riporta le diverse versioni dei fatti consegnate dalle fonti discordanti: dopo Servio e Fulgenzio egli espone il parere di Leonzio, che trova corrispondenza per il nome dei genitori e delle Sirene nella glossa marginale al passo odissiadico. In quest’ultima, tuttavia, non c’è alcun accenno all’abilità della quarta di canere timpano menzionata da Boccaccio. Il problema maggiore è però relativo al secondo passo in cui Leonzio è addotto come fonte (Gen. VII 20, 6-7). Boccaccio afferma che, grazie alla loro facondia, le Sirene praticavano il meretricio in Etolia e con il tempo in tutta la Acaia; questo non solo non trova conferma in nessuna glossa leontea, ma è anche in aperta contraddizione con quanto scritto da Leonzio nella nota marginale sopra citata, secondo cui esse erano odiate da Venere perché avevano scelto la verginità 32. Inoltre anche il riferimento al fiume dell’Etolia, che prende il nome dal padre Acheloo perché in quel luogo esse praticavano il loro esercizio, non trova riscontro nella voce del
10. Gen. VII 41, 5; 14 De Phetonte
‘Pheton’ ante alia, ut ait Leontius thessalus, latine sonat ‘incendium’ (VII 41, 5).
Addebat huic Leontius fratres duos, Yphiclum scilicet et Phylacem, eosque natu maiores Phetonte, de quibus quoniam nil aliud, illos apponere non curavi (VII 41, 14) 33.
Ad Od. XI 324 (c. 145r, ed. p. 414) Climenem: Hec fuit mater Phetontis interl. sottolin. Hec fuit filia Mynii et Eurianassis que[m] Iphiclum fecit cum Phylaco velocem m. d.
Anche se non trova conferma in nessuna glossa, è assai verosimile che l’etimologia greca del nome di Fetonte provenga da Leonzio. Il nome dei fratelli Ificlo e Filace si ritrova nella stessa glossa menzionata al nr. 7 per la madre Climene, ma senza la precisazione che questi siano entrambi più vecchi di Fetonte.
11. Gen. VIII 4, 7 De Cerere
Et Leontius addebat Cererem ex Iasione Plutonem filium peperisse, et tandem Iasionem a Iove invidia fulminatum 34.
Ad Od. V 125-128 (c. 64v, ed. p. 187): Dicunt quod iste cum Cerere concubuit et fecit Pluton, deum diviciarum, sed quidam Hellanicus dictus genealogizat ipsum a Iove et Hylectra. Aliqui dicunt quod post diluvium solum in domo Iasionis, Creta in insula, frumentum inventum est, unde dictum Iasionem cum Cerere concubuisse et creavisse Pluton, deum diviciarum m. s.
Anche in questo caso l’informazione riportata da Boccaccio relativa al marito e al figlio di Cerere è confermata da una glossa leontea. Il dettaglio per cui Giasone sia stato fulminato da Giove si trova invece nel testo omerico, a Od. V 128: «Ζεὺς ὅς μιν κατέπεφνε βαλὼν ἀργῆτι κεραυνῶ», che secondo la traduzione di Leonzio risulta «Iuppiter qui ipsum interfecit percuciens nitido fulgure».
12. Gen. VIII 16, 1 De Perivia
Dicit autem Leontius Eurimedontem Gigantum fuisse dominum, et cum eis periisse.
Ad Od. VII 59 (c. 84v, ed. p. 243) Gigantibus dominabatur: Eurimedhon dominabatur gigantibus, qui, cum bellum ipsis fecerat, cum eis periit m. sup.
Boccaccio apre il medaglione su Peribea con la citazione di Od. VII 56-58 e utilizza subito dopo la nota leontea apposta in margine ai suddetti versi; essa, relativa alla sorte del gigante Eurimedonte, padre della donna, è ripresa in modo letterale.
13. Gen. X 9, 2-3; 10 De Scylla
Homerus autem longa carminum serie aliter in «Odyssea» describit fere in hac sententia. Dicit enim eam latrantem et catuli vocem habere nuper geniti, aspectu horribilem, et pedes habere XII, cum sex capitibus, et in omne caput os ingens cum trinis ordinibus dentium, plenis nigra morte, eamque in spelunce medio morantem capita extra mittere in profundissimum mare, piscarique ut delphines capiat vel balenas. Leontius autem aliam a superiori de Scylla recitat fabulam. Dicit enim quod, cum Scylla misceretur Neptuno, Amphitrites eius coniunx commota zelo, sparsis in aquis farmacis, in quibus lavari consueverat, eam vertit in caninam feram, quam Hercules cum preda Gerione hyspano superato rediens, eo quod sibi boves abstulisset, occidit; verum illam pater eius revocavit in vitam (X 9, 2-3) 35.
Ad Od. XII 85-94 (c. 155r, ed. p. 444): Descripcio Scylle, que filia Phorcynos fuit: vox sua similis catuli voci, magnitudo autem sua erat admirabilis, capita autem habet XII, in quolibet autem ore tres ordines sunt dencium, oculos habet igni similis, idest igneos, corpus suum intus antrum tenet, capita autem extra longas, ita quod poterat a saxo ad navem adiungere. Hanc interfecit Hercules m. sup. Hercules, Gerionis boves ducens, postquam venit ad strictum locum qui est inter Siciliam et Ytaliam, interfecit Scyllam, eo quod ipsi usurpaverat tauros Gerione ablatos; pater autem eius, cum cremaverat, viificavit ipsam. Scylla fuit femina pulcerrima Neptunno mixta; Amphitrites autem, uxor Neptunni, zelo capta pharmaca posuit ubi solebat se lavare et sic fera facta est canina m. d.
Quod autem dicebat Leontius Scyllam misceri Neptuno evidens est; nam, ut patet, in mare protenditur saxum, et quoniam ibi sit tempestas et sonoritas assidua, ideo fictum ab Amphitrite est pharmaca fuisse iniecta (X 9, 10).
Boccaccio si serve delle parole di Omero per la descrizione fisica di Scilla, di quelle di Leonzio per la fabula relativa alla sua metamorfosi e alla morte per mano di Ercole. Benché anche il maestro tessalo tratteggi una descrizione del mostro nella nota marginale relativa a Od. XII 85-97, Boccaccio preferisce seguire invece il testo omerico, da cui questa diverge per qualche dettaglio, e lo fa riprendendo spesso letteralmente la traduzione latina leontea 36. Anche la vicenda riportata da Boccaccio appena dopo – relativa alla trasformazione di Scilla in
14. Gen. X 32, 4 De Pelia
Circa id quod fictum est, dicebat Leontius Peliam Neptuni hominis fuisse filium, eumque secus Enypheum in specie iuvenis incole a Tyro dilecti, eam non resistentem atque similitudine forme deceptam oppressisse, et ex ea filios suscepisse duos 37.
Ad Od. XI 239-40 (c. 143r, ed. p. 406): Neptunnus iacuit cum ipsa mutatus in fluvium Enipeum qui mare intrabat; dominus quidam in litore fl(uvii) istius cum ipsa iacu<i>t m. d.
Boccaccio apre il medaglione su Pelia (Gen. X 32, 1) con un riassunto parafrasato di Od. XI 235-254 e lo conclude con un riferimento alle parole di Leonzio, che trovano conferma nella nota marginale al passo odissiadico. Sembra che Boccaccio travisi parzialmente il senso di tale nota: se infatti Leonzio afferma che Nettuno giace con Tiro dopo aver preso le sembianze del fiume Enippeo, amato dalla donna, Boccaccio specifica invece che Nettuno si impossessa della donna sulle rive del fiume, dopo aver assunto le forme di un giovane amato da Tiro. L’informazione per cui la donna partorisce due figli (Pelia e Neleo) è nel testo omerico, a Od. XI 254.
15. Gen. X 44, 1-2 De Pyro
Pyro virgo Nelei et Cloris filia fuit, ut in «Odyssea» scribit Homerus. Hec, ut idem asserit, adeo formosa fuit, ut illius fere omnes Grecorum nobiles optarent coniugium, eamque Neleo postularent. Qui nulli illam iungere voluit, ni sponderet ab Yphiclo matris Nelei patruo boves auferre, quos detinebat et dare negabat. Et cum nemo sponsionem hanc facere auderet, Melampus, vates ea tempestate clarus, Bie fratri suo ostendit post tempus fieri posse, ut ab Yphiclo deducerentur boves quos pascebat Neleus, suasitque illi sponsionem, ut tam spectabilis virginis coniugium consequeretur. Bias autem, fratri credens, spopondit Neleo quod petebat; et dum circa recuperationem boum conaretur, Yphicli iussu captus et carceratus est. Post tempus autem dimissus boves reduxit, et Pyro habuit in uxorem. Hec fere in textu Homeri continentur (X 44, 1-2) 38.
Ad Od. XI 285-295 (c. 144r, ed. p. 410): Tyro genuit Pelium et Nilea; Nileus a patruo (matris scilicet interl.) Ificlo peciebat res matris, ille autem non dabat. Postea venit quod Nileus pulcerimam filiam genuit, quam nolebat dare nisi illi qui boves Iphiclionis tamquam res matris non acciperet. Melampus quidem vacicinator, ut frater eius Vias ipsam Pyro in uxorem acciperet, pro bobus ivit, q<ui>, dum boves accipere voluit, cap<t>us est et a bucolis precepto Yphicli in carceribus positus est, qui per annum stetit. Accidit enim quod <…> m. inf.
Ultra quem dicebat Leontius, quod cum Bias per annum in carcere servaretur, sensit trabes domus vermes fecisse, quos vulgo dicimus ‘tarmos’, concepitque ob viciatas trabes secuturam ruinam; quam cum prenuntiasset Yphiclo, meruit libertatem (X 44, 2).
Tandem cum interrogasset Yphiclus, filios non procreans, quid ad procreandos esset agendum, suasit illi, ut serpentis potaret venenum. Quo facto, concepit uxor Yphicli et filium in tempore peperit. Quo beneficio ab Yphiclo illi restituti sunt boves. Quibus deductis, ut dictum est, Pyro deduxit uxorem, que illi peperit Anthyphatim et Manthyonem (X 44, 3).
Ad Od. XI 294-295 (c. 144v, ed. p. 411): Iphiclus causam interrogavit; ipse dixit postea quia Yphiclus non filios faciebat; ipse consilium dedit per quod filios faceret et ita liberavit ipsum et boves dedit et duxit eas et Via, frater eius, Pyro filiam Nelei in uxorem duxit m. sup. Consilium: Consilium autem fuit quod Iphiclus venenum serpentis potaret, et sic fecit et genuit Podarcen filium m. sup. Iovis ~ consilium: Eo quod consilium dedit de filiis creandis m. d.
Nel ricostruire la parentela e le vicende della vita di Però, Boccaccio afferma di rifarsi al racconto di Omero nell’Odissea (Od. XI 287 ss.): se ciò può essere vero per i primi due periodi («Hec, ut idem asserit…»; «Qui nulli illam iungere…»), sicuramente non lo è per la parte seguente, poiché nel testo omerico non compare mai la figura di Biante, fratello di Melampo. Quest’ultima è invece debitrice della nota leontea, di cui però Boccaccio travisa parzialmente il significato. Leonzio, infatti, scrive che l’indovino Melampo, per far sposare al fratello Biante la bellissima Però, sottrae i buoi a Ificlo e per questo viene incarcerato e tenuto per un anno in catene. Anche un’altra nota leontea, posta in margine a Od. XV 228-230, conferma che l’autore del furto dei buoi, in seguito incarcerato, è Melampo 39. Boccaccio, invece, attribuisce il furto e la reclusione al fratello Biante, ritenendo forse più plausibile che fosse il diretto interessato a compiere in prima persona il furto per ottenere la donna in sposa, e relega il fratello Melampo al ruolo di consigliere. Si crea così qualche problema di coerenza anche nei passi successivi (
16. Gen. XI 7, 8 De Castore et Polluce
Ydam prohibitum a Iove, ne Pollucem lederet, vim constellationis arbitrabatur Leontius 40.
Ad Od. XI 298; 299; 301 (c. 144v, ed. p. 412) 298 Polydeuchea: Polucem interl. sottolin. Lacine ‘Polucem’ m. s. 299 Castor interfectus fuit a Meleagro vel Polynice; Polydeuces inmortalis factus est munere Iovis m. d. 301 Eterimeri: Secundum diem, quia unus stat in celo uno die et al<t>er <in> inferno et mutantur m. s. Fabula istorum fratrum est vobis nota, quomodo unus stat tempore et in celo, alter vero in inferno, et i[n]terum mutatur et qui in inferno steterat stat in celo m. sup.
Benché in questo caso non ci sia una ripresa letterale, si potrebbe avvicinare il testo boccacciano alle note marginali leontee, apposte in corrispondenza della comparsa di Castore e Polluce nel catalogo delle anime incontrate da Ulisse negli inferi. Il Certaldese afferma che fu grazie alla vis della costellazione che Giove impedì a Ida di uccidere Polluce 41. Leonzio appone una serie di note legate ai Dioscuri, e in particolare a Polluce: oltre a specificare la corrispondenza fra il greco ‘Polydeuces’ e il latino ‘Pollux’, aggiunge che quest’ultimo fu reso immortale per dono di Giove e spiega la
17. Gen. XI 40, 2; 12 De Ulixe
Leontius vero dicit quod, cum nupsisset Anthiclia Laerti, et ad oraculum consultura iret, a Sysipho latrone, qui postea a Theseo occisus est, capta et oppressa est, et pregnans effecta ex eo concubitu Ulixem peperisse (XI 40, 2) 42.
Ad Od. XI 590 (c. 151v, ed. p. 433) Sisyfon: Iste fuit pater Ulixis; nam, dum Anticlia, mater Ulixis, virum Laertem acciperet eundo ad oraculum, cum latrone Sisyfo concubitum habuit, ex quo facta gravida, et cetera m. s.
Leontius vero dicit eum casu a Thelegono eum querente spina piscis venenosa tactum et inde mortuum (XI 40, 12).
Ad Od. XI 132 (c. 140r, ed. p. 398) A mari: Dixit hoc; nam Ulixes cum Cyrce filium fecit nominatum Telegonum, qui post longum tempus ad Ithachiam patrem querens venit et, cum Ulixem patrem suum invenit, non agnoscens eum, columbe spina marine punxit et interfecit; nam venenosa est columbe marine spina, quod ipsa viva et mortua hominem interficit m. d.
Ad Od. XXII 281 (c. 302r, ed. p. 852) Mors ~ ipso: Ponit mortem Ulixis venturam a mare: dum filius quem cum Circes fecit querebat patrem, invenit eum, et non cognoscens ipsum tetigit cum spina colu<m>be, que piscis marinus est; ideo dixit ‘a mare’ et cetera m. d.
Il capitolo su Ulisse si apre con il problema dell’identità del padre: Boccaccio riporta, giustapponendole, le varie fonti antiche, che parteggiano talvolta per Sisifo e talaltra per Laerte. Tra queste c’è anche la versione di Leonzio, secondo cui la madre Anticlea, dopo aver sposato Laerte, viene violentata dal predone Sisifo, partorendo così il figlio Ulisse; essa trova riscontro nella nota marginale a Od. XI 590, che Boccaccio utilizza quasi letteralmente. Il secondo passo in cui Leonzio è menzionato come fonte presenta un’altra versione della morte di Ulisse per mano di Telegono, diversa da quella di Teodonzio esposta appena prima: anche in questo caso essa trova conferma in due note leontee, apposte rispettivamente in corrispondenza della profezia di Tiresia e dell’uccisione dei Proci. Le stesse note sono utilizzate anche per stendere il capitolo relativo a Telegono, benché Leonzio non sia addotto come fonte: «Thelegonus Ulixis et Circis fuit filius. Qui, dum grandis videre patrem quereret, eum incognitum occidit […]» (Gen. XI 42, 1). Si noti, oltre la vicinanza contenutistica, l’utilizzo degli stessi termini (quereret: querens, querebat; eum incognitum: non agnoscens eum, non cognoscens ipsum).
18. Gen. XIII 15, 1 De Thelepho
Thelephus, ut dicit Lactantius, filius fuit Herculis ex Auge procreatus, et ab ea cum fuisset in silvis expositus a cerva lactatus est. Hic, ut Leontius asserit, in Lycia Chitensibus imperavit, moriensque duos filios dereliquit 43.
Ad Od. XI 518 (c. 150r, ed. p. 427): […] Aliqui dicunt quod Tilephus, Herculis filius, in sorte habuit paternam partem in Lysia dominans Chytensibus m. d.
Anche in questo caso l’informazione proveniente da Leonzio a proposito del popolo governato da Telefo, figlio di Ercole, è confermata da una nota leontea, che pone però due problemi. Innanzitutto è interessante notare la propagazione dell’errore nel termine indicante la regione geografica dominata da Telefo: negli scholia utilizzati da Leonzio 44 essa era la Μυσία, che diventa per errore ‘Lysia’ nella nota leontea e successivamente ‘Licia’ nel testo boccacciano. Probabilmente il Certaldese, non capendo cosa il maestro intendesse per ‘Lysia’, decide di trasformarlo nel nome di regione più simile dai lui conosciuto. Leonzio, inoltre, compie un secondo errore, attribuendo a Telefo ciò che gli
19. Gen. XIII 16, 2 De Euripilo
Dicit Leontius vineam auream a Iove Troio datam ob precium Ganimedis rapti, que per successionem devenit ad Priamum. Qui cum audisset virtutem Euripili circa bellica, misit eam matri eius, ut ipsa eum sibi auxiliarem micteret. Que, dono suscepto, statim misit. Ipse vero a Neoptolemo cum multis ex Chitiis, quibus post patrem imperaverat, occisus est apud Troiam 45.
Ad Od. XI 518 (c. 150r, ed. p. 427) Muliebrum ~ donorum: Aliqui ‘muliebria dona’ intellexerunt vineam quam Iuppiter donavit Troo ob precio Gannimedis rapti, que pervenit ad Priamum per successionem; sed non hoc senciit Homerus, sed Priamus promisit filiam suam Euripylo cum donis. Aliqui dicunt quod Tilephus, Herculis filius, in sorte habuit paternam partem in Lysia dominans Chytensibus; cum audivit autem Priamus eius vim, misit donum matri, scilicet vineam auream; hec autem, cum vineam accepit, misit filium eius ad exercitum; Meneptolemus interfecit ipsum, itaque multi mortui fuerunt pro dono matris m. d.
Come già messo in risalto da Pertusi, la nota leontea è debitrice di due fonti scoliastiche diverse, che corrispondono alle due sezioni introdotte da ‘aliqui’ 46; Boccaccio le utilizza entrambe, giustapponendole secondo il suo uso. Mettendo a confronto il testo della
20. Gen. XIII 31,1 De Polymila
Polymilas, ut Leontius asserit, filius fuit Ensonis. Qui Leontius dicit Ensoni preter hunc nullum fuisse filium. Verum ego plus fidei antiquate fame exhibeo, qua habemus Iasonem Ensonis fuisse filium, quam autori novo; est tamen possibile Iasonem fuisse binomium 50.
Ad Od. XII 69-72 (c. 154v, ed. p. 443): Tyro, filia Salmonei, peperit a Neptunno duos filios, Nilea et Pelia, et nupsit Crithea et peperit tres (corr. da duos) filios, Esona et Ferita et Amythaona. Esonis filius Polymilas, secundum Hesiodum Iason, sed secundum Pherecidem ab Alcimedon. Mortuo autem Alcymedon dimisit epitropum fratrem Peliam; mater autem eius misit Chironi centauro et nutrivit ipsum; postea petit a Pelea paternam potestatem. Ille mittit ipsum ad aureum velus m. s.
Il capitolo su Polimila e i due seguenti, come ha già segnalato Pertusi 51, sono ricchi di errori, in parte dovuti alla cattiva traduzione degli
21. Gen. XIII 32,1 De Alcymedonte
Alcymedontem filium fuisse Crythei Leontius dicit, asserens a Pherecide recitari ab Alcymedonte moriente Epytropum parvum filium suum Pelie fratri suo derelictum. Quem cum mater Chironi nutriendum dedisset, grandis a Pelia Colcos missus est 54.
Il capitolo su Alcimeda utilizza la stessa nota leontea a Od. XII 69-72 appena citata. Come già detto al nr. 20, dagli errori di traduzione del maestro tessalo scaturiscono malintesi ancora più grandi nel passo boccacciano. Lasciando a Pertusi il commento degli errori di traduzione degli scholia da parte di Leonzio, vediamo invece le conseguenze più gravi nel testo della Genealogia: innanzitutto Boccaccio reputa Alcymedon un uomo, quando invece era una donna; non è chiaro da dove tragga che Alcymedon sia figlio di Creteo; considera Ferecide fonte di tutta la vicenda (e non della sola parentela fra Esone e Alcimeda); interpreta epytropum (‘tutore’) come nome proprio (in realtà è apposizione di «fratrem Peliam») e, così facendo, crea dal nulla un nuovo personaggio, attribuendo a quest’ultimo vicende che la tradizione vuole assegnate a Giasone.
22. Gen. XIII 33,1 De Epytropo
Epytropus secundum Leontium filius fuit Alcymedontis. Qui, ut refert Pherecides, a matre Chironi centauro alendus traditus est, et cum adolevisset in patriam rediens Pelie patruo paternam petiit hereditatem, a quo Colcos missus est vellus aureum quesiturus 55.
Anche per il capitolo su Epitropo Boccaccio utilizza la medesima nota leontea dei nrr. 20 e 21. Questo personaggio mitologico in realtà non esiste, ma è nato dalla mala interpretazione della nota marginale di Leonzio (si veda quanto detto al nr. 21). Si noti che la «paternam potestatem» di Leonzio diventa qui la «paternam hereditatem».
23. Gen. XIII 54, 1-2 De Yphiclo
Yphiclus, ut ait Leontius, Eoli fuit filius, et cum potens esset, boves Tyro filie Salmonei et matris Nelei, qui Neleo debebantur, surripuit atque detinuit, donec Biantis generi Nelei, aut Melampi auguris fratris sui opere restituerit. Nam hic est, qui cum non posset filios procreare, habuit a Melampo seu a Bia, ut serpentis venenum potaret, quo potato, confestim Podarcem genuit. Dicit Leontius venenum serpentis herbam esse, ex qua si gustaverit serpens illico morietur, sterilibus autem confert 56.
Ad Od. XI 285-295 (c. 144r, ed. p. 410): Tyro genuit Pelium et Nilea; Nileus a patruo (matris scilicet interl.) Ificlo peciebat res matris, ille autem non dabat. Postea venit quod Nileus pulcerimam filiam genuit, quam nolebat dare nisi illi qui boves Iphiclionis tamquam res matris non acciperet. Melampus quidem vacicinator, ut frater eius Vias ipsam Pyro in uxorem acciperet, pro bobus ivit, q<ui>, dum boves accipere voluit, cap<t>us est et a bucolis precepto Yphicli in carceribus positus est, qui per annum stetit. Accidit enim quod <…> m. inf.
Ad Od. XI 294-295 (c. 144r, ed. p. 411): Iphiclus causam interrogavit; ipse [Melampus] dixit postea quia Yphiclus non filios faciebat; ipse consilium dedit per quod filios faceret et ita liberavit ipsum et boves dedit et duxit eas et Via, frater eius, Pyro filiam Nelei in uxorem duxit m. sup. Consilium: Consilium autem fuit quod Iphiclus venenum serpentis potaret, et sic fecit et genuit Podarcen filium m. sup. Iovis ~ consilium: Eo quod consilium dedit de filiis creandis m. d.
La vicenda di Ificlo, Melampo e Neleo è già stata trattata in modo approfondito al nr. 15 in corrispondenza del capitolo su Però. In quella sede Boccaccio, sbagliando, attribuiva a Biante sia il furto dei buoi che il consiglio dato a Ificlo sul veleno di serpente. Questa volta, invece, gli sorge il dubbio che i due episodi vadano riferiti al fratello Melampo e quindi lascia l’alternativa «Byantis…aut Melampi» e «a Melampo seu a Bia». Ciò potrebbe essere collegato anche a discussioni orali sull’argomento fra Boccaccio e il maestro tessalo. Le informazioni per cui Ificlo è figlio di Eolo e il veleno di serpente è in realtà l’estratto di un’erba non trovano riscontro in altre glosse leontee.
24. Gen. XIII 55, 1 De Podarce
Podarces, ut Leontius asserit, Yphicli fuit filius, nec de eo aliquid plus habemus 57.
Ad Od. XI 294-295 (c. 144v, ed. p. 411) Consilium: Consilium autem fuit quod Iphiclus venenum serpentis potaret, et sic fecit et genuit Podarcen filium m. sup.
Il breve medaglione su Podarce è basato interamente sulla nota leontea; in effetti questi non compare altrove né nel testo omerico né nei marginalia di Leonzio.
Boccaccio utilizzò distesamente le note marginali dell’Odissea marciana. Gran parte delle glosse adoperate sono tratte dall’undicesimo canto dell’Odissea, poiché in quella sede Leonzio dedica un ampio corredo di note alla spiegazione dell’identità e della progenie delle anime viste da Ulisse negli inferi. Il lavoro di compilazione dei medaglioni genealogici con i materiali odissiadici si può collocare tra l’arrivo di Leonzio a Firenze e il 1366, anno in cui, secondo la plausibile cronologia proposta da Pontani 58, Boccaccio inviò a Petrarca gli autografi leontei dell’
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1 Desidero ringraziare Carla Maria Monti e Marco Petoletti per la lettura scrupolosa del contributo e i preziosi consigli.
A. Rollo, Leonzio lettore dell’«Ecuba» nella Firenze di Boccaccio, in M. Feo et al. (a cura di), Petrarca e il mondo greco. Atti del Convegno internazionale di Reggio Calabria, 26-30 novembre 2001, «Quaderni petrarcheschi», II (12-13), 2002-2003, pp. 7-33. P.G. Ricci, La prima cattedra di greco in Firenze, «Rinascimento», 3, 1952, pp. 159-165, ora in Id., Studi sulla vita e le opere del Boccaccio, Ricciardi, Milano-Napoli 1985, pp. 153-160.
2 I fatti contenuti nell’Iliade erano conosciuti nel Medioevo attraverso altre fonti, come l’Ilias latina, Darete Frigio, Ditti Cretese, Giuseppe di Exeter e Guido delle Colonne. Vd. M. Pastore Stocchi, Il primo Omero di Boccaccio, «Studi sul Boccaccio», 5, 1969, pp. 99-122. La materia odissiaca invece era meno nota, in quanto soltanto alcuni episodi erano conosciuti attraverso autori latini come Virgilio (es. l’episodio di Ulisse e Polifemo narrato da Achemenide in Aen. III 628 ss.) e Ovidio (es. il racconto di Macareo circa Eolo, i Lotofagi e la maga Circe in Met. XIV 223 ss.).
3 Il riconoscimento della mano si deve a M. Cursi, Boccaccio lettore di Omero: le postille autografe all’«Odissea», «Studi sul Boccaccio», 43, 2015, pp. 5-27. Alla stessa conclusione è arrivata, in modo indipendente, V. Mangraviti, L’«Odissea» marciana di Leonzio fra Petrarca e Boccaccio, Fédération Internationale des Instituts d’Études Médiévales, Barcelona-Roma 2016, pp. CXXIX-CXLIII.
4 Autore del riconoscimento è F. Pontani, L’«Odissea» di Petrarca e gli scoli di Leonzio, in Feo et al. (a cura di), Petrarca e il mondo greco, cit., vol. I, pp. 295-328: 311-313.
5 E. Fumagalli, Giovanni Boccaccio tra Leonzio Pilato e Francesco Petrarca: appunti a proposito della ‘prima translatio’ dell’«Iliade», «Italia medioevale e umanistica», 54, 2013, pp. 213-283 con le osservazioni di V. Fera, Petrarca e il greco, «Studi medievali e umanistici», 14, 2016, pp. 73-116. Anche Pontani, L’«Odissea», cit., p. 314-319 ipotizza una possibile cronologia.
6 Un confronto simile si potrebbe attuare, con qualche difficoltà in più, sui marginalia dell’Iliade. Non essendo giunta fino a noi l’Iliade d’uso utilizzata da Boccaccio, per ricostruire almeno parzialmente le glosse da lui adoperate bisogna incrociare i dati provenienti da due manoscritti, l’Iliade marciana (Marc. gr. IX 2a e 2b), autografa di Leonzio ma dotata di più rare note marginali, e il codice Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7880.1, esemplare appartenuto a Petrarca e da lui annotato, apografo dell’Iliade d’uso sopra menzionata. Una prima analisi delle note marginali di questi (che per motivi di spazio non posso affrontare qui) conferma la loro vicinanza ad alcuni passi della Genealogia.
7 A. Pertusi, Leonzio Pilato tra Petrarca e Boccaccio: le sue versioni omeriche negli autografi di Venezia e la cultura greca del primo Umanesimo, Istituto per la Collaborazione Culturale, Venezia-Roma 1964, pp. 269-270.
8 Pertusi, Leonzio, cit., pp. 295 ss.
9 G. Boccaccio, Genealogie deorum gentilium libri, V. Romano (a cura di), Laterza, Bari 1951.
10 G. Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, V. Zaccaria (a cura di) e De montibus, M. Pastore Stocchi (a cura di), in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, Mondadori, Milano 1998, voll. VII-VIII.
11 Mi concentro in questa sede sulla Genealogia, affidando l’analisi sul De montibus al mio ultimo contributo Omero nel «De montibus»: l’utilizzo delle glosse di Leonzio Pilato nel repertorio geografico boccacciano, «Studi sul Boccaccio», 49, 2021.
12 Mangraviti, L’«Odissea» marciana, cit., pp. CLXXI-CLXXVI.
13 Per il testo si utilizzerà Boccaccio, Genealogie, a cura di Zaccaria, cit.
14 Gen. I proh. 3, 11; I 4, 5; I 13, 5 e 7; II 2, 1; II 3, 4; II 4, 1; II 7, 1; II 8, 1-2; II 9, 1; II 11, 1; II 12, 5; II 19, 1; II 31, 1 e 2; II 36, 1; II 65, 2; III 20, 2; IV 14, 9; IV 18, 5; IV 19, 1; IV 42, 1; IV 46, 4; IV 59, 8; IV 60, 1; IV 66, 4 e 7; IV 67, 2; V 1, 3; V 12, 13 e 17; V 16, 1; V 24, 1 e 4; V 33, 1-2; V 41, 1; V 44, 1-2; V 45, 1; V 48, 2, 5 e 9; V 50, 2; V 51, 1; VI 4, 3; VI 7, 2; VI 24, 6; VI 53, 24; VII 3, 2; VII 6, 2; VII 16, 3; VII 18, 4; VII 20, 1; VII 20, 6-7; VII 22, 7; VII 36, 6; VII 40, 1; VII 41, 5 e 14; VII 55, 3; VIII 4, 7; VIII 9, 2; VIII 13, 1; VIII 14, 2/3; VIII 16, 1; IX 1, 18; IX 22, 2-3; X 3, 2; X 4, 1; X 9, 2 e 10; X 32, 4; X 33, 1; X 44, 2; X 58, 2; X 59, 3; X 61, 5; XI 7, 8; XI 9, 1; XI 11, 2; XI 40, 2; XI 40, 12; XII 10, 2; XII 17, 2; XII 43, 2; XII 52, 1; XIII 1, 27; XIII 1, 37; XIII 13, 2; XIII 15, 1; XIII 16, 2; XIII 31, 1; XIII 32, 1; XIII 33, 1; XIII 54, 1 e 2; XIII 55, 1; XIV 8, 4; XIV 8, 8; XIV 8, 11.
15 Pertusi, Leonzio, cit., p. 358.
16 Anche in altre occasioni Boccaccio ritocca la forma o la grafia dei nomi dei personaggi citati da Leonzio, talvolta modificandone la declinazione (come in ‘Helaro’/ ‘Hellare’ al nr. 3 e ‘Philacus’/ ‘Philacem’ ai nrr. 7 e 10), talaltra adattando la translitterazione greca a una forma più latina (come ‘Nileus’/ ‘Neleus’ al nr. 15, ‘Tilephus’/ ‘Thelephus’ al nr. 18, ‘Vias’/ ‘Bias’ ai nrr. 15 e 23), e talaltra ancora variando alcune consonanti (come nel caso corrente, al nr. 1, in ‘Aglaofimi’/ ‘Aglaosi’ al nr. 9 e in ‘Esonis’/ ‘Ensonis’ al nr. 20). Altre modifiche saranno segnalate in note apposite.
17 Pertusi, Leonzio, cit., p. 318.
18 Ivi, p. 317.
19 «Hic amavit Latonam, propter quod Apollinis confixus sagittis est et damnatus hac lege apud inferos, ut eius iecur vultur exedat, quamquam Homerus vicissim dicat duos vultures sibi in eius poenam succedere». Ed. G. Thilo, H. Hagen (a cura di), Servii grammatici qui feruntur in Vergilii carmina commentari, In aedibus B. G. Teubneri, Lipsiae 1881-1902, vol. II, p. 82.
20 Pertusi, Leonzio, cit., p. 313.
21 Ivi, p. 314.
22 In Lycophr. Alex., 771 ss. (E. Scheer (a cura di), Lycophronis Alexandra, Apud Weidmannos, Berolini 1958, (ed. originale 1908), vol. II). Come fa notare Pertusi (p. 314, n. 1), questa versione dei fatti è condivisa anche da altri commentatori.
23 Altrove Boccaccio utilizza una forma ancora diversa: ‘procatores’ (Gen. V 44, 1; XI 40, 10) / ‘procatoribus’ (Gen. V 44, 1; X 59, 3; XI 40, 10; XI 41, 1; XII 69, 2). Da una prima ricerca sul termine emerge che le forme attestate nella latinità sono procus (pl. proci) e procator (pl. procatores), entrambi con il significato di ‘pretendente’ o ‘corteggiatore’.
24 Pertusi, Leonzio, cit., p. 315.
25 Boccaccio trascrive ‘επέροης’ il corretto ‘ἐκ Πέρσης’ presente nella traduzione leontea. La traduzione latina («a Persa») è invece corretta.
26 L’informazione è tratta dagli schol. V(Q) Od. X 139, II 457, 26-28 (G. Dindorf (a cura di), Scholia Graeca in Homeri Odysseam ex codicibus aucta et emendata, e Typographeo academico, Oxonii 1855, vol. II), di cui Leonzio fornisce la traduzione letterale. Cfr. Pertusi, Leonzio, cit., p. 270, n. 5.
27 Ivi, p. 312.
28 È interessante notare che nella redazione A, per indicare Eurianasse, Boccaccio aveva adottato la forma del genitivo ‘Eurianassis’, conforme a quella leontea; essa viene corretta in Vulg. con un passaggio alla prima declinazione, forse per suggerire che si tratta di una donna.
29 Pertusi, Leonzio, cit., p. 364.
30 Schol. V Od. XIII 408, II 577, 6-10; 14-15. Ivi, p. 364, n. 4.
31 Ivi, p. 316.
32 Boccaccio attingeva forse a un’altra fonte? Le Sirene sono considerate meretrici da Eusebio-Girolamo (1168 a.C. dell’edizione a cura di Helm, Eusebius’ Werke 7: Die Chronik des Hieronymus, De Gruyter, Berlin-Boston 2013, ed. orig. 1913), conosciuto certamente dal Certaldese, che però non menziona le regioni dell’Etolia e dell’Acaia.
33 Ivi, p. 312.
34 Ivi, p. 313.
35 Ivi, p. 315.
36 Od. XII 85-97: «Ibi autem Scilla habitat ardue latrans / cuius certe vox quidem quanta catuli nuper geniti / fit ipsa autem magnum malum non autem aliquis / gaudebit cum respexerit non si deus obviaret / huius vere pedes sunt duodecim omnes subtiles / sex autem ipsi iuguli longi atque in quolibet / forte caput et in tribus ordinibus dentes / crebri et densi pleni nigra morte / media quidem in spelunce profunditate intravit / extra autem tenet capita arduum berethrum (berethrum: idest ‘profunditatem’ m. d.) / ibi autem ad pisces venatur per scopulum disposita / delphynasque canesque et si aliquam maiorem capiat / vallenam quas myrias pascit sonos dans Amphitrites». Ho evidenziato in corsivo nel passo della Genealogia le parti riprese letteralmente.
37 Pertusi, Leonzio, cit., pp. 301-302.
38 Ivi, p. 312.
39 Nelea ~ vi: Nilea tenuit res vi Melampodis, dum Melampus pro bobus carceratus fuerat; postea Melampus boves duxit et fratri suo filiam Nilei dedit m. inf. (ad Od. XV 228-230; ed. p. 562).
40 Pertusi, Leonzio, cit., p. 367.
41 Credo intenda la costellazione dei Gemelli, la cui eziologia rimanda al mito dei Dioscuri.
42 Ivi, p. 311.
43 Ivi, p. 317.
44 Schol. V(Q) Od. XI 520, II 517, 14-19. Ivi, p. 317, n. 1.
45 Ivi, p. 317.
46 Schol. V(T) Od. XI 521, II 518, 8-12 e schol. V(Q) Od. XI 520, II 517, 14-19. Cfr. ivi, p. 317, n. 1.
47 Schol. V(Q) Od. XI 520, II 517, 14-15.
48 Schol. V(Q) Od. XI 520, II 517, 20.
49 Tuttavia Boccaccio utilizza altrove sia la forma greca che quella latina: «Tros seu Troius…» (Gen. VI 3, 1).
50 Pertusi, Leonzio, cit., p. 302.
51 Ivi, p. 303.
52 Schol. V Od. XII 69, II 533, 26-534, 6.
53 Per il commento dettagliato sugli errori di traduzione di Leonzio vd. ivi, p. 303.
54 Ivi, p. 302.
55 Ibidem.
56 Ivi, p. 311.
57 Ivi, p. 312.
58 Pontani, L’«Odissea», cit., p. 317.